Tutti Defunti Tranne I Morti è un film di Pupi Avati, uscito nel 1977.
Film girato in interni e esterni al Castello Carrobio di Massa Finalese, frazione del comune di Finale Emilia (MO). Nei titoli finali del film viene riportato: "Gli esterni e gli interni dal vero sono stati effettuati nella casa di riposo Primo Stefanelli", in realtà non è così. Il Sig. Stefanelli fece domanda di abilitazione del Castello in casa di riposo. Domanda che non venne mai accettata ne dal comune ne dalla provinciane dalla regione. Ci provò per dieci anni. Quando si accorse che questo non era possibile, lo vendette. Ora il Castello è diventato un luogo di vendita di pezzi di antiquariato. La sua corte -allora veniva chiamata aia, adiacente al Castello- è stata venduta per farne delle abitazioni.
IL FILM
La TramaNel castello dei marchesi Zanetti giunge, in un giorno del 1950, Dante che sta facendo il giro delle antiche famiglie emiliano-romagnole per vendere il libro ricavato da un vecchio manoscritto e contenente una profezia: la morte di 9 membri della decaduta famiglia servirà a indicare il tesoro nascosto che ne risolverà i problemi economici. Infatti, celebrato il funerale del marchese Ignazio (che stranamente torna in casa e riposa su di un vasto tavolato), vengono variamente assassinati: la serva, il cameriere Giulio, i marchesi Ottavio e Letizia, Donald, eccetera. Nel giro di poco tempo, al castello rimangono la marchesina Ilaria, il piazzista Dante e l'investigatore Martini che non è riuscito a cavare un ragno dal buco. Trovato il libro e letta la profezia, la figlia del finto defunto marchese Ignazio capisce il messaggio; ma è tardi. Lo stesso Ignazio, autore dei delitti, sta fuggendo con il tesoro e Ilde, l'infermiera di Donald, la quale, però, facendo notare che essendo il marchese vivo, i morti sono soltanto 8, lo elimina.
La Profezia:
legati al nostro nome,
uno ne rimarrà,
non si sa come,
e da quei nove morti,
composti al cimitero,
avrà luce il tesoro
e scoprirai il mistero.
Tutto avverrà la notte maledetta
in cui la quercia antica
cadrà sotto la saetta.
Regia: Pupi Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina, Maurizio CostanzoInterpreti: Gianni Cavina, Carlo Delle Piane, Francesca Marciano, Valentino Macchi, Bob Tonelli, Giulio Pizzirani, Michele Mirabella
Ho rivisto questo film dopo molti anni. Devo dire che Pupi Avati ha diretto una parodia comica di una serie di generi, dal gotico, al giallo di Agatha Christie. Spesso però vediamo solo il regista, ma dietro vi sono anche gli sceneggiatori che hanno scritto una trama esilarante. I personaggi sono azzeccati. Vi sono situazioni che sono comiche: vi consiglio di guardarvi bene la scena del primo omicidio, e la comicità che ne scaturisce dal dialogo. Osservate bene i movimenti degli attori, e i personaggi stessi.
Nonna Carlina è la mia nonna paterna, che quest'anno, l'8 maggio compirà la bella età di 99 anni. Un bel traguardo, una bella età da raggiungere. Dei miei antenati mi è stato detto che il suo papà, il mio bisnonno Lorenzo -da cui è evidente prendo il nome. ha vissuto oltre gli 80 anni, e sua mamma, la trisnonna, ha vissuto oltre i 100 anni. Se guardate il film notate che Pupi Avati, come in tutti i suoi film, sta molto atteno nelle riprese, alle scene. Niente deve essere al di fuori di quanto è previsto. Ma in questo film fa una eccezione. Durante le riprese di una scena compare Nonna Carlina. Una comparsa inattesa, come un fantasma: in fondo siamo in un castello. Pupi Avati decide di non rifare la scena, come sarebbe dovuto succedere. Lo dirà alla Nonna a fine film: "Nonna Carlina," almeno penso sia stato così il dialogo, "ti ho messa nel film, a tua insaputa, per ringraziarti della Tua ospitalità e perché sei Tu." Questo è quello che a grandi linee mi disse la Nonna.
Nonna Carlina nel film compare nella foto di scena in basso a sinistra.
IL CASTELLO CARROBIO
Il Castello Carrobio è una delle maggiori residenze presenti nel territorio della Bassa Modenese. Il Castello tuttavia non è così antico come sembrerebbe a prima vista: infatti fu costruito per volontà di Vittorio Sacerdoti, Conte di Carrobio, dal 1898 al 1900. A questo periodo risale il suo primo nucleo, che fu successivamente ampliato negli anni 1911-1914 su progetto dell’ingegnere Ettore Tosatti di San Felice sul Panaro. Il grande edificio si ispira come modello al castello tedesco di Tobitshau di cui era proprietario il fratello della moglie di Vittorio Sacerdoti, una nobildonna austriaca. Il castello è circondato da un ampio parco recintato e situato su quelle che un tempo furono le vaste proprietà terriere del conte di Carrobio; queste includevano anche il bosco della Saliceta, una ex tenuta ducale che si trovava tra i comuni di Camposanto e San Felice sul Panaro. Il complesso, di grande effetto scenografico, venne costruito come residenza temporanea, ma svolse anche un importante ruolo di rappresentanza.
Il conte, di origine veneziana, risiedeva abitualmente a Roma e svolgeva l’incarico di ambasciatore al servizio del Re d’Italia in varie capitali europee, sua moglie invece era una delle dame di corte della regina. Questo suo importante ruolo gli permise di entrare in contatto con numerosi uomini d’affari, politici e aristocratici, che periodicamente egli invitava nella sua dimora di Massese. Luogo di feste e ricevimenti, il castello conobbe ospiti illustri appartenenti alla casa regnante, quali il duca di Pistoia Filiberto e il principe del Piemonte Umberto di Savoia (l’ultimo Re d’Italia), ma l’inizio della seconda guerra mondiale fu causa di un suo progressivo abbandono.
Negli anni successivi il castello cambiò proprietà, ma continuò a non essere più abitato, anzi fu oggetto di numerose spogliazioni. Solo negli anni ’90, grazie all’acquisto della famiglia Folchi, furono avviati lavori di recupero dell’edificio, che nuovamente divenne residenza. La sua struttura massiccia, tutta in pietra “faccia a vista”, è alleggerita da finestre neogotiche ornate con marmi; nelle sale interne le decorazioni, in puro stile liberty, sono opera del pittore veneziano Peres. Altri abili artigiani hanno contribuito ad impreziosire l’intero complesso con inferriate e cancellate assai elaborate. All’epoca in cui i conti di Carrobio erano proprietari del castello, vi si entrava dall’ingresso principale percorrendo il lungo viale fiancheggiato da tigli che inizia di fronte alla chiesa: il viale è oggi integrato nel parco pubblico cittadino.
I MIEI RICORDI
Ho vissuto spesso in questo Castello, fin dalla nascita, fino a quando ho compiuto i 30 anni.
Non so dire per quanti anni la Nonna Carlina abbia vissuto in questo meraviglioso Castello, certamente da prima della mia nascita. La Nonna Carlina quando la Contessa Carrobio vi passava alcuni giorni all'anno ne era la dama. Quando viveva tutta sola, ne era la custode. In definitiva, al Castello viveva solo lei. Il Castello era circondato da un folto bosco. Oggi ogni tanto ci passo, ma il bosco si è notevolmente rimpicciolito lasciando spazio a terreni agricoli. Molti anni fa, questa zona, era coperta di boschi, ora solo zona pianeggiante, industriale e agricola. Andavo al Castello in bicicletta. Mi facevo Mirandola-Massa Finalese, circa 12 km, almeno una volta a settimana, spesso il sabato pomeriggio pedalando sulla mia bicicletta americana. Spesso rincorrendo i trattori per superarli e gioire della mia esuberanza ciclistica.
La Nonna Carlina faceva altrettanto. Spesso veniva a Mirandola, una volta ogni due tre mesi, in bicicletta. Si i mezzi pubblici c'erano, ma erano solo 12 chilometri da fare in bicicletta, con la pioggia, la neve, il caldo, il
freddo, in mezzo al nulla. Così è la Bassa pianura Modenese, almeno così era allora. Ma erano momenti unici, spesso divertenti, spesso in solitudine. Momenti che ti facevano pensare.
Io e Anna, no non è il film di Woody Allen -Io e Annie-, passammo per quello che ritenevo il posto più bello del Castello, la biblioteca. Una grande stanza su più piani, dove erano rinchiusi in vetrate o liberi, ma coperti dalla polvere, i libri. Libri che consideravo parte di me. Libri che consideravo vivi, e lo sentivo toccandoli, al tatto. Libri che sembrava dicessero "Aprimi, sono qui", "Sfogliami", "Guardami", "Noi siamo la cultura, noi siamo la vita", "Noi siamo dentro di te".
Non so dirvi quanti ne avessero. Ma erano tanti, molti. Molti di più di quelli della biblioteca comunale di Mirandola. Credo fu qui che mi innamorati dei libri. Li toccavo, alcuni li sfogliavo, anche se scritti in altre lingue. Era esilarante, entusiasmante, stare in quella stanza, tra quelle parole rinchiuse e scritte sulla carta. Quanto avrei voluto che quelle parole uscissero da quelle pagine per volare libero in quella stanza, rincorrendosi l'una con l'altra, per librarsi libere e pronte ad essere prese e incasellate in me, dentro di me. Io e Anna passammo per i corridoio ricoperti alle pareti da quadri di persone, molti dei quali antenati dei Carrobio. Le pareti ne erano piene. Non un solo spazio era libero. Li osservavo ogni volta che passavo. Uomini e donne, sembrava che mi seguissero con gli occhi. Era terrificante in quel periodo. Sembravano veri. I loro occhi nella lieve oscurità sembravano vivi, i loro visi sembravano muoversi con noi, come se ci seguissero in ogni cosa che facevamo. Come se ci controllassero su tutto. Ogni volta che entravo nel Castello, andavo sempre in altre due stanze. La prima era il bagno, dove vi era una impronta di uno stivale lasciata da un comandante tedesco durante la seconda guerra mondiale. Quella impronta mi faceva viaggiare con la fantasia: chissà cosa avesse fatto e come avesse lasciato quella impronta. La seconda era la stanza dove vi era un solo pianoforte a coda. Una stanza tutta in legno. Quando anni dopo vidi il film "Novecento", mi ritornò subito in mente la stanza del castello. Avrei sempre voluto suonare quel piano. Lo toccavo. Sentivo la vita in quello strumento. Ebbene, nella nostra passeggiata nei meandri del Castello, trovammo una stanza. Nessun mobile al suo interno. Fino a quel momento non avevamo mai fatto l'amore al suo interno. Coccole all'esterno, o in casa della Nonna, quando lei non era presente.
Non so cosa successe. Il timore che giungesse la Nonna era sempre presente. Ma ritenemmo che li non poteva trovarci. Sinceramente non rammento se eravamo nei sotterranei, o al terzo piano del Castello. Vagando per oltre un'ora in quelle stanze, in quei cunicoli, sotto gli sguardi delle figure impresse sulle tele, ci fermammo li. Ci spogliammo completamente. Non volevamo farlo sul pavimento freddo, intriso di polvere. Faceva già freddo stare in quelle stanze umide, buie, desolate. Cercai una sedia. Mi sedetti. Lei si sedette su di me.
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